IL COLORE COME NECESSITA’ E(STE)TICA
E’ difficile dire se fosse il colore dei suoi occhi a imprimersi sulle tele, o queste – una volta concepite-, liberando vortici di cieli stellati e acque marine in volute risalenti alla nuvole generatrici, a riflettersi in essi. Gli occhi sono quelli di uno spirito elevato (come direbbe Baudelaire), febbrilmente sensibili, indagatori e generosi, stupefatti per gli orrori e le ingiustizie del mondo e instancabilmente impegnati a opporgli indign/azione “politica”, pronta a tradursi in visioni, come ultima possibilità di salvezza. Sono gli occhi di Lino Marzulli, pittore di statura europea, nato nel ‘29, in un quartiere operaio di Sesto San Giovanni, artista fecondo e dallo stile inconfondibile, che si è formato alla scuola Faruffini, negli anni ‘50, col maestro Giovanni Fumagalli, mentore convinto del suo talento.
Sì, sono gli occhi lo strumento rilevatore e rivelatore di un “sentire/vedere” che è solo dei visionari, senza la mediazione dei quali, il mondo sarebbe “sordo/ cieco”. L’azione artistica o, se si vuole, la visione “poetica” della realtà che ci circonda (sia essa opera di pittori, appunto, ma anche di musicisti, poeti e letterati, filosofi), è, da sempre, l’estrinsecazione tacita di quel “chi siamo” che anima l’eterno interrogativo dell’umanità.
Umanità, che quando non trova risposte, affida al mito o alle “credenze” il proprio destino, intrattenendo con questi un consolatorio rapporto fiduciario, contro le imponderabilità connesse alle impervietà della traiettoria esistenziale.
Lino Marzulli, le risposte le cerca con pervicace e metodica applicazione quotidiana, rovistando un caleidoscopico immaginario, fin nelle pieghe più recondite del suo inconscio, e le trova, con virginea stupefazione (“il mondo sarà salvato dall’immaginazione”– Giulio Carlo Argan -) e le offre alla condivisione.
Dalle sue emersioni, riaffiora in superficie con figure, dove la frantumazione delle forme, l’atomizzazione delle linee di forza, la pulviscolare esplosione cromatica, la deflagrazione della luce, saturano lo spazio di inusitate figurazioni, che nulla hanno di rappresentativo (nel senso di mondo conosciuto), ma che, tuttavia, si impongono come “condizione spirituale ideale”, dove la libertà dalle convenzioni, non è una risposta iconoclasta, ma, più utilmente, la possibile dimensione di un pensiero liberato dalle convenzioni stesse.
Basta cercarlo, basta volerlo: “un nuovo mondo è possibile!”; Questo sembra dirci Lino, e questo è il monito del “colore come necessità”, per un nuovo umanesimo, che oltre non può attendere.
Il suo è un rapporto strettissimo con l’arte, laddove attraverso questa, cerca il senso stesso della vita; e dove arte e vita si intrecciano in un equilibrio simbiotico inscindibile, assoluto; E persino il lavoro fisico, lungi dal “tagliare” il fiato, invece, infonde sempre nuova energia allo slancio creativo.
Con il suo lavoro, intrattiene un rapporto quasi “religioso”, dove l’osservazione acuta, e lo stare attenti, rende testimoni, nonché messaggeri (medium) della partecipazione allo “straordinario”, a quell’ oltre, che è l’agostiniana meta, mobile e mutante, di ogni “cercare”.
Con questo spirito ha realizzato un’infinità di opere, e in ciascuna di esse, il suo mondo interiore, le sue visioni, han trovato occasione per palesarsi e, nello stesso tempo, di costituire il campo di “sfida” da ingaggiate con la ricerca, lo studio, l’analisi di quanto la storia dell’arte gli aveva consegnato come bagaglio sapienziale e punto di confronto.
Nella mostra di oggi, l’opera di Lino, sia pure sufficientemente rappresentata, rivela, tuttavia, l’assenza di una fase creativa, che è quella sviluppata tra gli anni ’50 e ’60 del secolo scorso, dove la qualità pittorica, oltre che l’indagine sulla trasfigurazione delle forme (che nell’ultima stagione creativa, estremizzando, è giunta a un pulviscolare dissolvimento, come è evidente nelle opere qui esposte), fagocita la lezione dei grandi europei del primo Novecento.
Laddove l’ossessione del colore, sia pure sul piano puramente cromatico – perciò estraneo a qualsiasi parentela figurazionale e/o concettuale – potrebbe condividerla con Kandinskij, lo studio delle masse, il ritmo dei volumi e la gamma degli umori cromatici, invece, rivelano un confronto serrato con i più felici esiti di artisti come Munch (si veda Figura femminile, 1956 -olio su tela, 140 x 60- Catalogo SKIRA, novembre 2008 – LINO MARZULLI, Stagioni del dipingere 1956/2005), l’espressionismo di Francis Bacon, o con alcune meno nette geometrie di Juan Gris o di gesti dello stesso Picasso, quando non evocano, sempre con spiccato tratto personale, le stralunate “Amalassunte” liciniane.
Come per molte espressioni artistiche del secolo scorso – e Lino, in quel secolo, come già detto, ci è vissuto appieno, da protagonista attento ai travagli dei processi creativi e alla loro evoluzione, ma anche per il suo impegno civile – nessuna “lettura” dei linguaggi è possibile se si esclude quella psicologica.
La rinuncia – o la perdita – per taluni, di una “grammatica sentimentale di comune uso”, fa sì che i “significati” che il “pubblico” reclama, siano tutt’altro che a portata di mano; essi non sono più reperibili su quella superficie piana che è il “senso comune”, ma invece vanno cercati su un scivoloso piano inclinato che, nel momento in cui induce la vertigine – per vacillamento delle certezze custodite -, offre nello stesso tempo un occasione di “volo” immaginifico, di conquista di pensiero liberato da verità pre-confezionate.
E così, anche Marzulli, combatte la tenebra (Carl Gustav Jung la definisce Ombra) che insidia da presso ogni spirito sensibile, e che è alla base stessa di ogni urgenza/necessità creativa, dove il Nostro, mediante una sintesi di luce e nelle frastagliate schegge di colore satura lo spazio di rifrazioni fantastiche, persino gioiose talvolta, e ce le affida come viatico per un viaggio che siamo liberi di intraprendere, in quel mondo di fascinazioni che ci consegna.
Rocco Abate, Milano 2017 ( in Mostra Il colore come necessità e(ste)tica, catalogo della mostra, Galleria StudioArt 38, Milano 2017)