LINO MARZULLI
A proposito del soggetto
L’impressione immediata, a un lettura rapida dei dipinti, è quella di un variegato trionfo dei contrasti cromatici, non mimetico anche quando la macchia allude a forme riconoscibili della realtà realizzato con stesure materiche differenti, una sorta di concentrazione di stimoli e segnali attivi, che suggeriscono l’azione, l’energia più che la riflessione.
Percorrere con gli occhi le diverse «stazioni» evidenziate – ho avuto occasione di vederle, tanto impaginate nell’ordine della sala espositiva quanto disordinatamente disposte sul pavimento dello studio e la sensazione è rimasta stabile – segnala la ricchezza e la cangianza di una tavolozza che sembra coniugare la lezione ottica delle indagini cromatologiche della fine del secolo scorso con l’universo «artificiale» proposto da una sensibilità «popolare», dell’immagine di consumo.
Ma contemporaneamente il discorso si basa su una particolare attenzione accordata al soggetto e alla sua pregnanza, quindi alla capacità dell’immagine a duplicare e trasformare il reale: un’opera di memoria e un’opera di fantasia che ha le sue radici elette nella metamorfosi che qualunque soggetto, filtrato attraverso la sensibilità e la maniera dell’artista, contrae, necessariamente acquistando alcune prerogative plastiche che sono specifiche del linguaggio dell’autore.
In questo recente ciclo di lavori Lino Marzulli ha realizzato una serie di opere che in qualche modo compendiano l’immaginario frequentato in questi anni: le «Cinque terre», le bandiere, il calice, il giardino come labirinto, i segni zodiacali, in una sorta di eccentrica adesione ai due generi, quello del paesaggio e quello della natura morta, che la tradizione pittorica d’Occidente ci ha consegnato. Il repertorio è definito «intorno all’uomo», al suo sguardo concreto come a quello della fantasia, ma la realizzazione non prevede una medesima disciplina perché in realtà possiamo parlare di una costante contaminazione dei generi, una migrazione dei diversi soggetti da un ambito all’altro.
L’operazione probabilmente nasce dal desiderio di una pausa di riflessione, di una osservazione «stante», meditata, della permanenza nel corso degli anni di un immaginario consolidato, del portare in emergenza, nello stesso momento operativo, figure che si sono succedute nel tempo, riproposte e riconsiderate come contemporanee: il luogo nevralgico sembra essere quello di un interrogarsi sul senso di un immaginario, sulla sua esplicita e durevole materializzazione nell’opera di pittura.
Può esistere una particolare affezione per una determinata figura, che siano le stelle o l’inquadratura delle Cinque terre non importa: risulta comunque essenziale che al momento questi soggetti si offrano come segnale esauriente dell’operare; utilizzando categorie della storia si potrebbe parlare di una particolare e originale fase di «maniera» o di «stile» se nel dipingere di Marzulli soggetto e fattura non fossero intimamente legati, se gli stessi soggetti selezionati non fossero capaci di una radicale messa in discussione, non potessero dialetticamente essere protagonisti adeguati a comporre, in concorrenza, un’opera nuova.
Si vuol dire in altri termini che la fedeltà al tema costituisce nell’immaginario dell’artista un nodo indissolubile: la congiuntura è denunciata dallo stesso titolo scelto per questo gruppo di opere, «Bicchieri, Bandiere e Quant’altro», giocato fra elenco catalogico e ironia: dalla precisione dei primi due soggetti, apparentemente incongrui fra loro, e la vaghezza del terzo protagonista, talmente generico da rendere defatigante qualunque individuazione.
Allora lasciamoci guidare nella lettura della mostra dal titolo: riconosciamo bandiere e bicchieri, cerchiamo di titolare questo «altro», che poi coincide con paesaggi, da quelli riconoscibili delle «Cinque terre», patria elettiva di Marzulli – figura di un paesaggio capace di coniugare, nell’asprezza del luogo e nel contrasto fra terra e mare, un singolare fascino – a quelli altrettanto leggibili ma artificiali del giardino disegnato, all’italiana, a quelli fra realtà e fantasia del cielo stellato e delle sue costellazioni.
Ora il problema che viene espresso in questa carrellata, un riassunto che è sempre momento di riflessione e reinvenzione. Perché affermare la priorità del soggetto, del nome, in un ragionamento sull’opera plastica, evidentemente sottolinea la sua importanza fondamentale, legittimante, ma non la sua capacità di esaurire l’interesse del messaggio nel suo complesso.
Un immaginario araldico? «Bandiere» certamente, stelle anche, anche se si tratta di una forma nello spazio, strumento di orientamento, luce, reale e immaginario; «bicchiere» in partenza, nella sua immediata legittimazione: la citazione del Graal voluta da Marzulli è a un tempo spiazzante per la sua identificazione con un oggetto dai contorni indefiniti e dall’ampia letteratura, a un tempo per la forma del calice che allude a un prodotto di raffinato design.
Fra citazione della letteratura, migrazione e vitalità di figure profonde, ritratto del reale e allusione, citazione dell’immaginario, si coniuga un’avventura dai contorni in continua fibrillazione.
Alberto Veca 1997, testo critico per la mostra Bicchieri, bandiere e quant’altro, Banca di Credito Cooperativo, Sesto San Giovanni