[…] per quello che riguarda l’opera di Marzulli, si può dire che il discorso delle sperimentazioni e dei comportamenti non lo ha mai interessato, in concreto, perché egli è un artista nel senso dell’etimo, un “creatore” che ricerca essenzialmente il soggetto umano, nelle sue origini e contraddizioni, ma sempre protagonista della realtà, anche quando deve soccombere ad una svolta, per rinascere dopo, dalle apparenti ceneri. A mio parere, la pittura di Marzulli, che possiede i requisiti presupposti dal discorso premesso, proprio per questo ci fa capire che ogni asettico intruppamento deve essere combattuto e lui lo combatte tramite una pittura che è anti-media, anti-gregge, anticonformismo: in altre parole, è individualità.
Ciò non significa peraltro accettazione di una sorta di isolazione dell’uomo o evasione da neo-stilista, e l’abbiamo chiarito: una selva splendida si fa con ciascuna pianta splendida, quanto meno buona, non con guasti arbusti. Gli stati d’animo che si producono nella composizione delle tele sono già dunque una sintesi, si potrebbe dire con Husserl, una “datità”, che opera la mediazione nel mondo in cui siamo immersi, della realtà che è fuori e dentro di noi in ogni attimo di riflessione a livello autocosciente.
È per questo che realtà raffigurata da Marzulli appare memoria che si tuffa in un tempo, reso poeticamente assoluto, senza clessidre né congegni, e ritrova relazioni e sentimenti umani, essenziali, della presente eppure dell’antica storia.
Pasquale Giorgio, Milano, 1973 (in Lino Marzulli. Dieci anni di pittura, trent’anni di coerenza. Opere 1982-1992, catalogo della mostra, a cura di Abbiati F., ed. Arci Nova “Pablo Neruda”, Carnate 1992, p. 94)