Franco Fortini

 

Per parlare della pittura di Marzulli si dovrebbe restaurare l’uso della descrizione, uno strumento critico classico troppo vilipeso ai giorni presenti. Una descrizione modesta ci farebbe capire che non è opportuno dare qui troppo importanza agli intenti simbolici: anche se Marzulli percorre una

serie di reami ossessivi (mansuefatti ma sempre pronti al balzo e al morso) si sbaglierebbe strada a non tener sempre presente la volontà prima, propriamente pittorica, di colore e di colori, raffinatissimi o bruti, di mano artigiana. C’è veramente una visione da materialista classico, di cose ponderabili e misurabili; che naturalmente si rovescia in violenza mistica, rapimento, accelerazione. C’è una energia dinamica, quasi sempre compressa: moti parabolici, percorsi in traccia, sbarramenti orizzontali, pseudo cornici; e figure di aggressione, lupi o lucci o grifi, metamorfosi dell’eros. Ma c’è anche una tranquillità, una consistenza, quasi un’impotenza, come di quel che sa d’essere a due passi dal pericolo di vita. Ci

comunica, mi pare, una coscienza della fisicità di oggetti e corpi e insieme una esaltazione ora demoniaca ora paradisiaca. La “cultura” che sta dietro a queste  opere è quella – di tradizione   ereticale – che si agita nei cataclismi di William Blake. Ma la parola “cultura” è imprecisa: si parli piuttosto di una passione verso l’unità dei contrari, del bianco e del nero, ad esempio – ultimo “Matrimonio del Cielo e dell’Inferno” – vissuta assumendo anche il torbido e l’angoscioso e trascinando verso una fiducia positiva.

È quel che chiamerei il nesso di popolare e di sublime, un nesso che, nella storia della pittura, torna a riproporsi solo a lunghi intervalli di tempo.

Marzulli dipinge. Ma noi possiamo anche vedere le implicazioni morali di quelle operazioni del co-

lore. Questo pittore che ama visibilmente intrattenere interminabili colloqui con lo spessore della tela, le colle e i pigmenti e che non cura 1’aggiornamento petulante, conosce molto bene, anzi ha insegnato molto bene alla sua pittura a sapere – nelle apparizioni del negativo; sbarre, balaustre, oscurità – che ai danni dell’esistenza c’è una cospirazione quotidiana accanita a togliere la pittura ai pittori, il respiro a tutti. Contro di quella, qui una certezza, ottenuta invertendo con pazienza i segni e i poli; una tattica sensoria, manuale; di pulsazioni, intensità.

Franco  Fortini,  Milano, 1971   (in Lino Marzulli, in catalogo della mostra, Solferino, Galleria d’Arte contemporanea, Milano 1971)