Per parlare della pittura di Marzulli si dovrebbe restaurare l’uso della descrizione, uno strumento critico classico troppo vilipeso ai giorni presenti. Una descrizione modesta ci farebbe capire che non è opportuno dare qui troppo importanza agli intenti simbolici: anche se Marzulli percorre una
serie di reami ossessivi (mansuefatti ma sempre pronti al balzo e al morso) si sbaglierebbe strada a non tener sempre presente la volontà prima, propriamente pittorica, di colore e di colori, raffinatissimi o bruti, di mano artigiana. C’è veramente una visione da materialista classico, di cose ponderabili e misurabili; che naturalmente si rovescia in violenza mistica, rapimento, accelerazione. C’è una energia dinamica, quasi sempre compressa: moti parabolici, percorsi in traccia, sbarramenti orizzontali, pseudo cornici; e figure di aggressione, lupi o lucci o grifi, metamorfosi dell’eros. Ma c’è anche una tranquillità, una consistenza, quasi un’impotenza, come di quel che sa d’essere a due passi dal pericolo di vita. Ci
comunica, mi pare, una coscienza della fisicità di oggetti e corpi e insieme una esaltazione ora demoniaca ora paradisiaca. La “cultura” che sta dietro a queste opere è quella – di tradizione ereticale – che si agita nei cataclismi di William Blake. Ma la parola “cultura” è imprecisa: si parli piuttosto di una passione verso l’unità dei contrari, del bianco e del nero, ad esempio – ultimo “Matrimonio del Cielo e dell’Inferno” – vissuta assumendo anche il torbido e l’angoscioso e trascinando verso una fiducia positiva.
È quel che chiamerei il nesso di popolare e di sublime, un nesso che, nella storia della pittura, torna a riproporsi solo a lunghi intervalli di tempo.
Marzulli dipinge. Ma noi possiamo anche vedere le implicazioni morali di quelle operazioni del co-
lore. Questo pittore che ama visibilmente intrattenere interminabili colloqui con lo spessore della tela, le colle e i pigmenti e che non cura 1’aggiornamento petulante, conosce molto bene, anzi ha insegnato molto bene alla sua pittura a sapere – nelle apparizioni del negativo; sbarre, balaustre, oscurità – che ai danni dell’esistenza c’è una cospirazione quotidiana accanita a togliere la pittura ai pittori, il respiro a tutti. Contro di quella, qui una certezza, ottenuta invertendo con pazienza i segni e i poli; una tattica sensoria, manuale; di pulsazioni, intensità.
Franco Fortini, Milano, 1971 (in Lino Marzulli, in catalogo della mostra, Solferino, Galleria d’Arte contemporanea, Milano 1971)